lunedì 28 ottobre 2013

A PROPOSITO DEL CERCHIO DI CONDIVISIONE

Prima di incominciare a condurre il Cerchio di Condivisione non avevo idea di quali potessero essere le questioni che potevano sorgere nell’organizzare questo tipo di gruppo . Mi dicevo che un gruppo del genere avrebbe potuto interessare pochissime persone a Milano, soprattutto ero scettico rispetto a come spiegare un gruppo del genere alla gente. Non è infatti un gruppo in cui si “fa” qualcosa, in particolare, non è un gruppo di Yoga o un gruppo in cui si spiega una qualche tecnica terapeutica particolare. E’ un gruppo in cui si aiuta la gente ad esprimersi, ad osservare e ad accogliere delle parti di sé, a condividere, ad ascoltare, se stessi e gli altri, a rimanere nel momento presente. Personalmente, non appena sono entrato in contatto con questo genere di attività ne ho subito colto la grande importanza.

Ho frequentato il mio primo cerchio di condivisione nel 2008 a Padova e l’ho seguito per i seguenti 2 anni. Dopo un cerchio mi sentivo sempre in grande forma, magari anche stanco, ma di quella stanchezza sana, come se fossi stato ripulito. Dopo essermi svuotato delle mie tensioni, avevo immagazzinato nuova energia, energia fresca, e chiarezza mentale. Godevo di questo beneficio in maniera forse un po’ ingenua, senza spiegarmelo, ma mi nutrivo di questo, da semplice fruitore, facente parte del gruppo. Godevo dell’essere parte di questo cerchio ed ero grato di aver trovato una cosa così particolare. Capivo che era una cosa utile, ma non mi spiegavo il perché.

La grande consapevolezza è arrivata dopo un viaggio in Brasile. Qui sono entrato in contatto con diverse realtà e ho potuto vivere in prima persona cosa significasse, per un periodo di tempo limitato, vivere completamente in comunità e in un ambiente permeato dallo spirito della condivisione. Solo qui mi sono reso conto di cosa volesse dire “condividere” davvero. Certo, ognuno aveva la sua tenda ed il suo spazio, ma per il resto del tempo, nel gruppo che ho frequentato in Brasile, tutte le altre attività si organizzavano ed espletavano insieme. Più di tutte le altre cose, le attività fondamentali di questo gruppo di persone erano cucinare insieme e mangiare insieme. Prima di mangiare si faceva un grande cerchio, ci si armonizzava, e si cantava insieme. Poi chi aveva qualcosa da dire lo diceva. Si davano le comunicazioni importanti e chi aveva qualcosa da condividere condivideva. In più si utilizzava il “bastone della parola”, metodo utilizzato dai nativi americani e che facilita la condivisione.


Quando c’era la fila per andare a prendere da mangiare notavo che dentro di me qualcosa mi diceva: “Devo tagliare la fila o rimarrò con meno cibo! Ecco, ho fame e adesso devo aspettare che tutti arrivino per mangiare…cazzo! Ma quanto ci mettono questi a cucinare, FAAAME! EEbbravo questo che si mette davanti a me nella fila” Quando ho cominciato ad osservare questi miei pensieri, mi sono reso conto di quanto poco ero abituato a condividere. Mi sono reso conto che fin da quando andavo a scuola non ho fatto altro che cercare di cavarmela in ambienti in cui se non entravi nella competizione in qualche maniera non sopravvivevi, o rimanevi indietro (ergo rimanevi senza cibo = pericolo di morte). Mi sono reso conto di quanto tutte le persone che mi hanno accompagnato durante tutta la vita avevano completamente eliminato la mentalità della condivisione. Non la consideravano neanche “una modalità fallimentare di vivere”: non la consideravano proprio, non la consideravano più.. Questo perché ci hanno sempre insegnato che “Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio”, che l’uomo si è evoluto per “selezione Naturale” del più forte rispetto al più debole e che per trovare una buona definizione di chi uno sia, bisogna vedere cosa ha ottenuto rispetto agli altri.


Condividere, prendere il proprio posto in un gruppo in cui tutti si ritrovano, in cui tutti si sentono liberi di appartenere, e in cui tutti sanno che basta anche solo un minimo contributo per far parte di qualcosa di grande, creato dal gruppo (che come si sa, è più della somma delle sue parti) era qualcosa che nella mia testa non esisteva. Era una fiducia ormai estinta di un passato che non avevo neanche mai pensato di andare a cercare nei libri. Un gruppo di persone che sanno che sono unite da un filo invisibile, un denominatore comune che ha a che fare con qualcosa che sta dietro le quinte della nostra realtà, che è Inconoscibile, di cui tutti facciamo parte, ma le cui manifestazioni diventano chiare, evidenti, solo se si hanno gli occhi per vedere. Un gruppo di persone che, proprio per queste ragioni, per queste sensazioni, sentono di dover stare insieme e volersi bene, era davvero quello che la mia anima cercava da tanto.  


Dopo aver vissuto una realtà del genere in una maniera così forte e così chiara, mi sono chiesto come sarebbe stato possibile (ri)portare questo modello, questa mentalità, questo modo di vivere, di comunicare, e di agire nella vita, anche in posti (come la mia città per esempio) dove questa mentalità era ormai sparita. Spostandomi, sempre in Brasile, da una realtà comunitaria provvisoria stanziata in una località rurale, ad una realtà semi-comunitaria stanziata però in una città, ho visto come, una volta tornati in una grande metropoli, le cose, per un gruppo di persone che aveva intenzione di vivere seguendo la logica della condivisione, si facevano molto più complicate. Ognuno aveva i suoi orari, ognuno aveva i suoi interessi ed i suoi gusti. Non era più possibile comprare il cibo tutti insieme, perché non era possibile mangiare tutti insieme, e quindi non era neanche possibile organizzarsi bene per essere tutti d’accordo anche solo per una cosa così semplice come il cibo. Questo mi ha fatto riflettere molto sulla possibilità di importare la mentalità di condivisione in un luogo, come le città, dove ognuno bada a se stesso, dove il tempo sembra scorrere più veloce, dove ci sono degli orari, e dove non c’è quell'armonia di fondo che facilità il processo comunitario e l’ascolto consapevole di se stessi e degli altri.


Essendo le persone della città  (ma allargherei questa condizione anche a molte più persone che vivono quest’epoca in cui regna sovrana la mentalità della competizione) molto più condizionate da tutto quello che le circonda, e quindi più ostacolate nel processo che può portare a sentire l’unità laddove si vede solo divisione, mi sono chiesto da dove bisognasse partire per cominciare a ri-instillare nelle persone il senso di comunità, il senso di appartenenza, la voglia di condividere e di sentirsi tutti fratelli. Dove andare a parare, quindi, per creare una convivenza armonica e civile tra le persone se anche solo una cosa così semplice come quella di “mangiare insieme” diventa un problema? 


Forse la soluzione sarebbe stata partire dalla base, dal cominciare con le dinamiche di interazione, le dinamiche di ascolto di se stessi. Proprio allora sono arrivato a comprendere l’essenza dei gruppi di condivisione. Mi sembrava che questi gruppi, rispecchiassero questa mia voglia di instillare il valore della condivisione ad un livello base, partendo proprio dall'osservazione di se stessi. Credo sia inutile infatti, e anche questo l’ho capito solo dopo, pretendere che una persona entri nella logica della condivisione, se prima non ha cominciato ad osservare i proprio processi interiori in un clima accogliente in cui si richiamano le persone ad osservare il proprio giudizio e ad accogliere tutto quello che sentono e che vivono all'interno del cerchio. Ed i gruppi di condivisione, per come posso averli compresi in questi anni, puntano proprio a quello.

Siamo troppo disabituati a vivere condividendo le nostre cose materiali, o il nostro tempo con gli altri: per rincominciare ad entrare nella mentalità della condivisione c’è necessità di ripartire da un livello più sottile, il livello delle proprie emozioni, sensazioni e anche dei propri pensieri.

La cosa più emozionante, nella costituzione del gruppo di condivisione di Milano, è stato l’osservarne la formazione. C’è stato qualcuno che ha aderito subito, acriticamente. Alcuni ci hanno messo un po’ di più, ma ne hanno colto il valore dopo pochi incontri. Altri ancora hanno transitato sempre un po’ lontani dal fulcro di gravità, come pianeti lontani che però non si staccavano mai, e rimanevano lì, in osservazione, e a volte riuscivano anche a nutrirsi dell’energia del cerchio.


Durante i primi incontri ho da subito sentito una grande forza che in qualche modo faceva sì che le cose accadessero. Questo gruppo aveva tante connotazioni diverse perché ogni partecipante aveva una storia diversa e proveniva da un angolo diverso di questa città. Già dopo le prime sedute si è venuto a formare uno “zoccolo duro” di persone che poi hanno fatto in modo che gli incontri del gruppo andassero avanti fino a Giugno senza alcuna interruzione e con mai meno di 4 persone. 

Gli incontri sono andati avanti con costanza, si sentiva verso la fine il senso di appartenenza delle persone al cerchio, cosa a mio parere fondamentale per costruire la fiducia che sta alla base dell’aprirsi agli altri. Anche l’energia del gruppo è cresciuta. Ho avuto diversi feedback in cui mi è stato riportato quanto fosse stato utile incontrarsi e quanto queste pratiche così semplici, ma che arrivano all'essenziale della struttura dei rapporti, possano rinforzare o ri-accendere qualcosa che è già dentro alle persone, e che nel momento in cui queste se ne accorgono, trovano la via maestra per la comprensione di cos’è che unisce tutte le persone del mondo. Quando arrivano a questa piccola, ma immensa consapevolezza, le persone si aprono al cambiamento e alla condivisione.

ilmolinari

Ringraziamenti

Ringrazio sentitamente l'AIET Associazione Italiana di Evoluzione Transpersonale, che ha organizzato e che continua ad organizzare gruppi di condivisione (www.aiet.it)
Ringrazio davvero i fratelli incontrati in Brasile per quello che mi hanno insegnato, nella loro semplicità
Ringrazio tutta la gente meravigliosa che fa o che ha fatto parte del primo cerchio partito a Milano.

Per qualsiasi informazione riguardante il Cerchio di Condivisione di Milano cliccate qui.

http://www.ombelicodelmondo.net/cerchio-di-condivisione/

giovedì 2 maggio 2013

IL SOGNO DELLA VITA

Stanotte ho fatto un sogno che vale la pena condividere. Cercherò di descriverlo nella maniera migliore. 
In questo sogno vivevo attraverso centinaia di vite, e mi ricordavo tutto, di vita in vita. 
All'inizio continuavo a buttare via la mia vita: avevo fretta, tanta fretta. Volevo nel modo più veloce possibile diventare bravo in qualcosa, qualcosa che però non aveva un senso, per poi morire in maniere altrettanto stupide, così che tutto quello che avevo imparato non era servito a niente. Tutto finiva nel nulla e io ricominciavo da capo. In una vita imparavo anche a volare. Così, volando, potevo menarmela e fare delle cose incredibili, come scappare dai nemici, poi però a volte mi schiantavo e morivo. Nelle vite successive mantenevo sempre questa cosa del volare, ma, in un modo o nell'altro poi continuavo a morire e rinascere, un po' come nel film "Ricomincio da capo" con Bill Murray (quello del giorno della marmotta) o "E' già ieri" con Albanese, che poi è il remake del primo.

Insomma si ricominciava di nuovo: la stessa vita nello stesso posto, a fare cose senza un senso, senza uno scopo. Arrivavo ad un punto che, non trovando un senso, mi suicidavo, nell'idea che poi, tanto, sarei rinato. 
Solo che, una volta fatto, cioè una volta suicida, poi non rinascevo più. Cioè continuavo ad essere cosciente, nell'aldilà, ma vedevo che il mio corpo non era stato più trovato "nell'aldiqua", e quindi rimaneva coperto, non visto, e io non rinascevo più. E così, nell'arco di un minuto passavano centinaia di anni senza che potessi rinascere, e io non potevo fare niente, e avevo paura che quel momento sarebbe durato per sempre. Un gran brutto presentimento, potete immaginare. Finchè, ad un certo punto, rinascevo di nuovo, in un nuovo mondo, tutto molto moderno e fantascientifico, fatto di edifici giganti tutti bianchi con i vetri neri e macchine volanti. Era tutto diverso, e lo ero anch'io. Soprattutto non ero più così arrogante da pensare di buttare via la mia vita...evidentemente i secoli passati nel limbo si facevano sentire. 


Così andavo a vedere dov'era seppellito il mio vecchio corpo. Ora lì c'era un grattacielo, e c'era anche una targa in memoria di uno psicologo che aveva il nome simile al mio, ma non ero io. Provavo anche un po' di invidia per lui, almeno lui era stato ricordato per qualcosa! Non riuscivo a comprendere che forse potevo essere io. Ovviamente mi sentivo un po' stranito, ma nonostante questo ricominciavo a volare e a fare altre cose. Questa vita, però, era diversa dalle altre che avevo già vissuto secoli prima, perché  non rinascendo per secoli, avevo capito che la vita era un regalo che mi era stato dato, tolto, e poi ridato, e che quindi l'essere vivi non era più una cosa scontata.  Prima pensavo di poter controllare il morire e il rinascere, e che tutto questo ciclo fosse una cosa data, scontata appunto. Poi però, dopo aver cazzeggiato per secoli, questo ciclo si era interrotto, e io non potevo più vivere. Fortunatamente, non si sa bene come o perché  mi era stata data una nuova possibilità, ed ero di nuovo vivo, e quindi libero! La prima cosa che mi veniva da pensare in questa nuova vita, dopo tutto quello che era successo era ovviamente: "Già che ci sei goditela. GODITELA cazzo! Non avere fretta."


E così mi succedevano tante cose nuove. Capivo che il tempo in realtà non esisteva e che essere impazienti o preoccupati per il futuro non aveva senso, perché ogni cosa aveva il suo tempo. Tra le altre cose capivo anche che c'erano delle tracce, delle ferite a volte, che rimanevano dalle vite precedenti. Per esempio se nella vita precedente avevi ammazzato qualcuno, la questione rimaneva aperta nelle vite future. Se poi quel qualcuno era un innocente, come un bambino o addirittura un figlio, questa sarebbe stata una forte traccia per le vite successive: una colpa difficile (ma possibile) da espiare. Capivo anche che le persone che crescevano, maturavano ed invecchiavano di fianco a me, erano persone da amare e da sostenere, finchè vivi, e che quando se ne andavano ripartivano anche loro per i loro viaggi e chissà se, come e dove rinascevano, per cui era difficile che due persone fossero legate per l'eternità. Poi c'erano i nemici, in particolare uno che aveva l'aspetto di Corrado Guzzanti quando fa Mariano Giusti in Boris, che era una persona a cui ero legato perchè in altre vite ci eravamo vicendevolmente ammazzati. Mariano in alcune vite rispuntava, e con il tempo avevamo anche stabilito un legame tipo Lupin e Zenigata, per cui non c'èra l'uno senza l'altro e nell'inseguirci ed ammazzarci alla fine ci volevamo anche bene.


E insomma in tutte queste vite andavo avanti in maniera un po' più consapevole, un po' meno sicuro di quello che mi poteva succedere, ma cercando di godere della vita al meglio. Finché, ad un certo punto, mi trovavo a dover morire in questo posto fatto di tronchi di albero, una specie di capannone gigante in cui i tronchi erano intrecciati orizzontalmente in maniera spiraliforme, senza pavimento e senza soffitto, ma con delle pareti. In questo posto bevevo un caffè rovente e stavo male, e mi sentivo morire, e volevo morire, ma non ci riuscivo. Allora lì, in punto di morte, capivo che non dovevo più dimostrare di saper volare, o di fare chissà che cosa in particolare, non era più necessario. Se volevo andare da qualche parte in quella realtà non dovevo fare altro che sentirmi quella realtà, sentire che Io ero quella realtà stessa che percepivo intorno a me. Mi sentivo come se fossi in ogni cellula di quello spazio ed ero solo e puro Sentire.



E allora capivo. Capivo che davvero in tutti questi cicli non c'è tempo, e che noi spesso ci sforziamo tanto per essere i più bravi, i migliori! Impariamo addirittura a volare, e poi non ci serve a niente, perchè quando si muore si ricomincia tutto da capo. E tutto questo Io l'ho visto, e l'ho fatto per migliaia di vite nei secoli dei secoli. E sono anche riapparso nel futuro e volevo ancora dimostrare di saper volare, ma finchè io non mi sono sentito in ogni cellula del mondo io non capivo la mia funzione qui. La mia Funzione. E alla fine del sogno lo capivo. Capivo che la mia Funzione è quella di ESSERE il Mondo, a partire dalla casa che mi circonda. 

Un solo sentire, basta un attimo per capirlo e in quell'attimo c'è dentro tutto: tutte le vite di tutti, tutto il tempo e tutto il Mondo .

Questa è la nostra funzione qui. Quando ci "sentiremo tutto", anche per un solo istante, smetteremo di ripetere sempre le stesse vie e le stesse vite. Smetteremo di voler volare senza scopo. Smetteremo di preoccuparci per il tempo che passa, o di avere paura di morire. Perchè il tempo non esiste, e perchè la vita è un dono che ci è stato dato per farci trovare uno scopo. E finchè ce l'abbiamo dobbiamo GODERCELA, perchè non sappiamo quando finirà.

Finchè non saremo Tutto.


Inutile dire che mi sono svegliato di buonumore stamattina...in questa vita. 




lunedì 7 gennaio 2013

INVIDIA NOTTURNA

La cosa strana è che non mi aspettavo di essere qui adesso. Dicono che chi dorme non piglia pesci. Beh penso che di notte la pesca sia ottima. Sono da solo nella cucina di casa mia. Tutto il resto è silenzio e un rubinetto che ticchetta (non è un cliché, davvero c'è un cazzo di rubinetto che ticchetta, mi sembra di essere in un film di Tarantino). Ok c'è anche il ronzio del frigorifero.

Ma meno male che sono sveglio! Se dormissi non potrei ascoltarmi.

Oggi ho provato invidia. Quando viaggiavo a livelli molto bassi stavo sentendo invidia per quelle persone che a 28 anni hanno fatto qualcosa di importante. Come i calciatori. Quanti anni c'aveva Shevchenko quando ha infilato Buffon a Manchester godendo come un riccio tra le braccia di Nelson Dida. 23? Micheal Jordan ha vinto il suo primo titolo a 28 anni. E i musicisti? Cazzo Hendrix è morto a 27 anni! E Jim Morrison, e Jesus!
27 anni cazzo.

http://doctorbulldog.files.wordpress.com/2009/10/family-guy-jesus-pussycat-dolls.png


Penso a Micheal Jackson, Bob Marley, Ray Chales. Alla mia età erano già "degli imprenditori da shoogno" (cit. Crozza). Ayrton Senna quanti anni aveva quando ha vinto il primo mondiale? Vado a vedere su wikipedia. 28 cazzo. Vuoi dire che il sorpasso a Prost, quello in cui si toccano quasi, che sembrano delle libellule invece che delle macchine, Ayrton c'aveva 28 anni?
Queste sono le informazioni che rischiano di non farti dormire per un'altra ora.


 http://newsimg.bbc.co.uk/media/images/46612000/jpg/_46612109_classicf1japan512.jpg


Cheppalle sta cosa del "Quanti anni c'aveva...?" Da quando ci sono quei cazzo di aggeggi i-touch non si fa altro che scommettere sull'età anagrafica di Pupo e queste stronzate qui. Ma chissenefrega dico io! E perchè lo facciamo?  Ci confontiamo con gli altri. Per capire come siamo e come andiamo cerchiamo come punto di riferimento gli altri, prima che noi stessi. Lo impariamo fin da piccoli.

"Numeriiiiiiiii due!" e i due bambini si scaraventano sul fazzolettino. Uno un po' più cicciottello, ma più scaltro. Un altro un po' più magretto, ma più agile. Il cicciottello esita un primo istante. Il magretto vede che l'altro è in difficoltà e arriva affannato per primo alla pezzuola. Ma il cicciottello non ci sta e contrattacca. Si scaraventa sul magretto ambendo al fazzolettino. Il magretto si divincola buttando un occhiata alla maestra di storia (per l'occasione nelle veci della maestra di ginnastica) e si accascia sopraffatto facendo cadere gli occhiali di plastica. La maestra, mentre divide i due, si chiede se quello che sta vedendo sia il preludio dell'invasione di una altra generazione di stronzi che un giorno salirà al potere.

Beh comunque non mi preoccupo. mi sa che anche questa notte accetto quello che c'è. E c'è che ho la barba, che sto scrivendo, che sto bene, che ho tutto quello di cui ho bisogno, e che per questo ringrazio.




domenica 9 dicembre 2012

QUELLO CHE SO SUL 21 DICEMBRE 2012

Il 21 dicembre 2012, data tanto ricordata da giornali, riviste di dubbia scientificità, filmini di "scimmiati" new age, film catastrofici e pubblicita’ (quasi tutti piu’o meno se ne burlano, ma intanto tutti ne parlano dandogli sempre piu' importanza) rappresenta, per il calendario Maya, ma anche per altre culture antichissime, la data della fine dell’era attuale, l' era dei pesci, e dell’ inizio di una nuova era astrologica, ovvero l'era dell’acquario.


                                                    L' EVENTO ASTROLOGICO

Secondo il calendario Maya, infatti, il tempo si divide in ere che presuppongono un inizio e una fine e che si ripetono ciclicamente. Il tempo, per i Maya era concepito in termini circolari, e non lineari, come tendiamo a considerarlo oggi. Anche altre culture antiche (gli egizi, i cinesi, gli indiani d'america o gli indiani hindu per esempio) hanno pronosticato cicli temporali ben definiti in maniera molto simile. Facendo riferimento al calendario astrologico, ogni 2150 anni, durante l’equinozio di primavera, il sole passa per un segno differente dello zodiaco. Questo ha qualcosa a che vedere con una lenta roteazione (tipo quando una trottola perde il centro esatto dell’asse) della terra intorno al suo asse: si chiama, precessione, perchè il ciclo della costellazioni va indietro rispetto al normale scorrere di esse nel cielo durante l’anno.  La quantita’ di tempo in cui la precessione della Terra ci impiega per passare attraverso tutti i segni Zodiacali e’approssimatamente di 25765 anni, e questo periodo di tempo è chiamato dai Maya “Il Grande Anno”, a dimostrazione del fatto che essi, insieme ai cinesi e agli egizi, erano coscienti di tutto questo. Noi ci troviamo, quindi, alla fine del "Grande Anno" (abbiamo ultimato tutto il giro) ed il sistema solare, il 21 Dicembre, ritornerà in un punto della galassia da cui era passato l'ultima volta circa 25765 anni fa.(Inizio di del nuovo Grande Anno)

Questa data rappresenta, dunque, un equinozio solare. Facciamo un esempio riferito al nostro pianeta per capire questa questione: durante l'equinozio di primavera (21 marzo per l'emisfero boreale, 21 settembre per quello australe), qui sulla Terra inizia, appunto, la primavera. Ma la primavera non inizia ïstantaneamente scoccata la mezzanotte del 20 marzo: la terra inizia a fiorire gia' prima di quella data, cosi' come le ondate di freddo continuano ancora per un po' prima che arrivi definitivamente il calduccio primaverile che ci fa sorridere quando andiamo in bicicletta e ci fa risalire l'ormone. Anche per questa occasione, si tratta di un equinozio, ma solare: il soggetto, quindi, è il Sole nella sua orbita intorno al centro della galassia (ovviamente questa data coincide con il solstizio della Terra). Date queste premesse, credo sia un po' stupido pensare che da un giorno all'altro succedera' qualcosa di tremendo o che di colpo si noteranno dei cambiamenti radicali a livello planetario, metereologico, sociale, economico o politico.




Quello che abbiamo l'onore di vivere e' il momento preciso del cambio da un'era all'altra, e non penso sia utile spaventarsi o credere in catastrofi naturali, perche' quello che sta accadendo è semplicemente un processo che è già in atto. Infatti tutto quello che "dovrebbe" succedere in realta' sta gia' succedendo, è gia' davanti ai nostri occhi. Questo momento che stiamo vivendo e' un periodo di tempo in cui il nostro sole sta uscendo dal suo inverno ed entra nella sua primavera, e pertanto fiorisce. Diciamo che il sole sta passando dalla notte al giorno, e quindi quello che stiamo per vivere e' una specie di alba. L'inizio della giornata galattica del nostro Sole.


L' EVENTO ASTRONOMICO

Nel concreto: il 21 dicembre Il Sole si sposta in prossimità di una linea ideale (l'eclittica) che corrisponde alla proiezione in cielo del piano in cui giace l'orbita della Terra. In più questa volta, il Sole (da cui dipendiamo per la sua energia elettromagnetica) si allinea con il centro della nostra galassia, la Via Lattea, passando per la "Fenditura del Cigno", una nebulosa che termina ad altezza dell'Equatore Celeste. E' proprio questo allineamento che darà inizio al momento di transizione tra la "notte solare" ed il "giorno solare", la qual cosa implica ovviamente un cambiamento enorme in termini vibrazionali ed elettromagnetici sia a livello solare che, di conseguenza, a livello terrestre. 




POSSIBILI CONSEGUENZE PERCEPIBILI

Ora, noi sappiamo che il nostro cervello, il nostro corpo e tutti i sistemi e le cose che utilizziamo quotidianamente funzionano elettromagneticamente. Dato questo cambio elettromagnetico, il Sole, e quindi la luce solare, si potrebbe alterare in corrispondenza di questa "alba solare". Avete presente quando fate tardi la notte e riuscite ad arrivare fino all'alba e' c'è quel momento bellissimo in cui vedete il sole nascere da dietro il mare o le montagne, o dietro ai palazzi, e sentite un'arietta nuova che non avete sentito per tutta la notte? Vi sentite un po' rigenerati e vi sentite un po' piu' leggeri e sognanti (anche se terribilmente assonnati)? Ecco questo e' un po' quello che sta per succedere al nostro Sole. Il Sole sta per sentire quell'arietta lì: una nuova ondata di energia elettromagnetica. La Terra ha uno "scudo" elettromagnetico che fa capo ai due poli e che dovrebbe scongiurare l'ingresso di questa energia solare "extra". Il problema è che, a quanto pare, a livello di questo "conflitto elettromagnetico" orbitano i satelliti artificiali che permettono le telecomunicazioni.



Quindi, per quanto ne so, l'unica cosa percepibile che potrebbe (e dico potrebbe sperando che non succeda) succedere qua sulla Terra è un cambiamento elettromagnetico, che potrebbe mandare in corto, o comunque influire sui sistemi di comunicazione (internet, telefoni, radio e tutto quello che dipende dai satelliti artificiali) nonchè potrebbe causare a livello fisico dei fastidi, dei giramenti di testa, e anche dei cambiamenti a livello sensoriale e percettivo.

Il problema vero, dunque, è il rischio di "delirio sociale". Magari la gente si spaventa perchè "Cazzo è il 2012, qui mi salta internet e anche la luce ed il micro-onde...cosa devo fare, dove devo andare?", o i più sensibili potrebbero sentirsi un po' strani e chiedersi che cacchio stia succedendo. Il consiglio, se tutto ciò si dovesse verificare, e staremo a vedere, è quello di stare calmi e rimanere esattamente dove si è. Sappiamo bene qual'è l'effetto di una paranoia collettiva in una massa di persone accatastate. Questa, per quanto ne so, è l'unica conseguenza potenzialmente preoccupante.


"OK, OGGI E' il 21....E QUINDI?"



Dipende quindi da ognuno di noi decidere come meglio affrontare questo evento. Le opzioni, a mio modo di vedere, sono tre:

- Vivere questo momento come un passaggio significativo, un momento importante per l'umanità, un'occasione per celebrare qualcosa in comune con tanti altri popoli sulla Terra, ognuno a proprio modo, sentendoci per una volta uniti da qualcosa di unico, per una volta tutti quanti un solo popolo

- Viverlo come una catastrofe imminente e prepararsi con terrore a una qualche sciagura, seguendo le teorie dei più catastrofisti, facendo scorte per i prossimi anni e chiudendosi in bunker anti-atomici alla Ned Flanders

- Viverlo come un giornata qualunque, non facendo assolutamente niente e dimenticando (o meglio rimuovendo) tutto quanto si è detto con un sorrisetto strafottente in stile "Evvedi a credere a ste minghiate quanto tempo si perde?"


COME LO VIVRA' CHI SCRIVE (E stica**i no?)


E' dal 2008 che sento parlare di questa storia, e da allora mi sono informato e ho parlato con tante, tantissime persone diverse. Tra queste persone non ho MAI incontrato qualcuno che avesse paura di una catastrofe (Mi chiedo infatti come mai si sia dato così tanto adito a queste teorie piuttosto che ad altre). I commenti, di solito, andavano dall'indifferenza più totale, alle critiche verso quella visione catastofista; dalle parole di speranza per un vago futuro migliore, alle affermazioni tipo questa:

"Questo che stiamo vivendo è il momento più importante della storia dell'umanità, che ci crediamo o no, sta accadendo proprio adesso, e noi siamo qui adesso per viverlo" (Don Avardhan - Astrologo - Capao - Bahia - BRA)

Io andrò con alcuni amici, fratelli, in un bel posto da dove vedere bene il cielo, e cercherò di fare "come se" quello che sto per vivere fosse veramente il momento più importante della storia dell'umanità. Cercherò di sentire di far parte di questo pianeta e di questo popolo, che in realtà è sempre stato uno solo, nonostante tutto. Insomma cercherò nel mio piccolo di entrare in contatto con tutti quelli che saranno sulla stessa lunghezza d'onda. D'altra parte, cos'ho da perdere se festeggio? E' un evento unico, e io, già che ci sono, sinceramente, non me la sento di perdermelo.



ilmolinari

giovedì 11 ottobre 2012

IL RITORNO E' LA PARTENZA


Il momento piu’ difficile e piu’ forte da sostenere del viaggio è sicuramente il ritorno. Già un viaggio in cui sai che ci sarà un ritorno è un viaggio molto diverso da un viaggio senza biglietto d’aereo “destinazione casa”. Di gente che girava così per il Brasile, senza una meta, senza una casa, senza una fine, ne ho incontrata tanta. Gente anche giovane, ma in giro c’è un po’ di tutto, con quella luce negli occhi, quello sguardo un po’sfottente, che alcuni possono considerare ingenuo, ma che ingenuo non è, e che ti comunica: “sto viaggiando senza un perché, perché questa è la mia casa, il mondo, e perché ho l’età giusta (immaginate un’età qualsiasi, magari la vostra) per iniziare a conoscerlo questo mondo, per capire quali sono i suoi punti deboli, per cavar fuori la vita dagli angoli, e tu che mi guardi sai meglio di me a cosa mi riferisco”. 

Io invece in questo viaggio ero a metà. A metà tra il turista che dice “un mese è abbastanza che non ho tempo” e il viaggiatore vero che dice “il tempo non esiste, è tutto nella nostra testa, e il tempo che impieghi a viaggiare è il vero tempo con l’oro in bocca”. Tre mesi mi sembravano tanti, e sono stati abbastanza, ma non del tutto sufficienti per considerarmi un vero viaggiatore. Perché come dice la canzone “Il viaggiatore viaggia solo, e non lo fa per tornare contento. Lui viaggia perché di mestiere ha scelto il mestiere di vento” (Mercanti di liquore – Il viaggiatore)

Io avevo questa data, il 28 settembre, nella mia testa. Un giorno come tanti altri che però era diventata un qualcosa di vivo, qualcosa che mi parlava e mi diceva”Sto arrivando, preparati, perché quando arriverò sarà l’inizio di tutto un altro viaggio”. Ho capito che la vacanza è vacanza e che il viaggio è viaggio proprio da questa consapevolezza. Quella che ti fa capire che non è che uno parte e diventa improvvisamente viaggiatore. Uno viaggiatore lo è sempre. Anche un uomo o una donna che lavorano in ufficio per 8/9ore al giorno tutti i giorni per anni e anni, tranne quelle misere due “settimanine” di mare o di montagna a Luglio o ad Agosto, in realtà sta intraprendendo un viaggio, anche se probabilmente non se ne rende conto. 

Sarebbe bello che quelli di noi che sentono di stare dentro ad una routine noiosa e trita e ritrita si fermino a pensare a questo ogni tanto. Questo genere di pensiero relativizza i problemi quotidiani di ogni genere. Siamo tutti in un viaggio. A volte questo viaggio assume delle fattezze di vita piatta e vuota, ma a volte il viaggio prende una piega che non ci aspettavamo. Succede qualcosa e siamo chiamati a tirare fuori tutte le nostre risorse per capire che sentiero dobbiamo prendere. Perchè, anche se seguire il sentiero è facile, bisogna rimanere concentrati, che magari poi pensi di aver seguito un percorso battuto e poi ti ritrovi perso nel nulla perchè non ti eri accorto di un bivio, e tornare indietro e ritrovare il sentiero non sempre è facile. (tratto da una storia vera successa in questo viaggio sulle montagne della Chapada Diamantina)

Così dopo essere stato immerso nell’energia e nella natura più sconfinata, dopo essere entrato in contatto con altre dimensioni di questa realtà, grazie al fatto che mi sentivo lontano ed in viaggio, sono tornato nella Grande Città (in questo caso era San Paolo, ma credo che ogni viaggiatore converrà che potrebbe essere qualsiasi “Grande città” del mondo).  Dopo tanta purezza ed emozioni sublimi, dopo vallate infinite piene d’acqua pura e cascate, e dopo aver sentito di essere della stessa sostanza con cui sono fatte tutte le cose, sono rientrato in contatto con la massa delle persone, gli abitanti delle città. 

Quelli che fanno la coda accalcandosi in metropolitana, quelli che non si guardano in faccia se non per giudicare o per insultare, quelli che sono soggetti a tante, troppe influenze (Smartphone, internet, pubblicità, mode varie ed eventuali, sentimenti di possessività, competizione, ruoli sociali, ruoli professionali, rumore di fondo costante, aria irrespirabile, luci al neon, illuminazione notturna…)e che, senza rendersene troppo conto cercano di tirare fuori da questa massa di stimoli il meglio che possono. Cercano di farsi vedere, di spiccare, di farsi o non farsi notare. Teste tra milioni di teste. Uomini tra milioni di uomini che dicono “Ci sono anch’io". Un gruppo di persone di cui, peraltro, io ho sempre fatto parte.


Quando ti ritrovi di nuovo, dopo essere stato da solo davanti all’universo di stelle, anche tu testa tra le teste e ti senti attraversare da milioni di energie diverse, da ondate di sensazioni che non sono le tue, quando ti senti sotto ai riflettori che però illuminano tutti, e nessuno in particolare, qualcosa dentro di te cambia. 

Pensieri che per mesi non ti hanno neanche attraversato l’anticamera del cervello ricominciano tranquilli a circolare: “Chissà cosa sta pensando quello; quello mi ha guardato; ah è uscito il nuovo iphone 5; sono nervoso, perché non mi chiama?; questa cosa proprio non mi piace; che caldo, potrebbe fare più fresco; che traffico; sono già in ritardo; non sto facendo niente; devo muovermi; devo fare; devo comprare; dove ho lasciato le chiavi; non ho più tempo…”.

Proprio in quel momento, nella metropolitana affollaissima di San Paolo, ho capito che l’altro viaggio era iniziato. Per rendermene conto ho dovuto fare un viaggio di tre mesi. Probabilmente questa consapevolezza così chiara rientrerà a far parte del mio inconscio e ricomincerò a preoccuparmi di problemi che in quel momento mi sembreranno importanti, ma in quel momento, da solo e con addosso il mio zaino gigante e le ciabatte, tra le macchine della Grande Città, ho capito che quello di cui ho bisogno, e di cui credo abbiamo bisogno tutti, in questa vita è ben altro. 

Certo, l’autorealizzazione è importante, e non dobbiamo trascurare l’importanza dell’essere equilibrati negli aspetti della vita quotidiana (Amore, Lavoro, Famiglia…in pratica le voci dell’oroscopo.),  ma se continueremo ad essere scollegati, come di fatto siamo, dal ritmo dettato dalle leggi del nostro pianeta, e dell’universo, se continueremo a non preoccuparci della nostra connessione diretta (e non mediata) con il nostro pianeta e con tutti gli esseri viventi intorno a noi, se non ci preoccuperemo di capire che noi siamo qui per una ragione e che siamo qui adesso con questo corpo e non con un altro, con questa faccia, queste mani, e non con altre, milioni e milioni di eventi che hanno portato ad essere esattamente come siamo, adesso, 

(quello spermatozoo tra milioni e non un altro, quell’assemblaggio di milioni e milioni di cellule per formare proprio quell’essere e non un altro, proprio quella storia e quell’esprienza e non un’altra, proprio quelle relazioni, proprio quei cambiamenti, proprio quella vita e non un’altra…) 

continueremo a pensare di essere soli nel’universo, soli in questo pianeta, e a vedere la Terra un pianeta solo tra i pianeti, testa tra le teste, sul quale noi abitiamo per caso, per una qualche coincidenza fortuita.
E vi assicuro cari miei, con tutto il bene che vi voglio e con tutto l’amore che ho nello scriverlo:

non è così.

E’ stato un viaggio meraviglioso ed è stato bellissimo poterlo condividerlo in parte con voi. 

Io sono tornato a casa,
arrivato a Milano, a Cadorna, di domenica mattina sono riuscito a guardarla con occhi diversi. Mi sono piaciuti i palazzi antichi del centro, la relativa calma e ordine delle sue strade (rispetto alle Grandi Città come San Paolo o New York è tutta un’altra storia). Ho pensato che quella che ho sempre visto come una città affollata e caotica è sotto altri punti di vista una cittadina abbastanza contenuta, con una storia molto antica e con tanta, tanta energia buona.

Quindi mi sono incamminato verso casa, ho respirato l’aria della domenica, ho chiuso gli occhi e mi sono visto di nuovo qui sulla mia barchetta. Ho guardato la mappa e ho impostato la rotta.
Ci vediamo in porto, o forse meglio in mezzo all’oceano infinito.

Buon vento


venerdì 24 agosto 2012

BAHIA: UN OCEANO DI LUCE DENTRO ALL'INFERNO

Immaginatevi di tagliare in due il brasile a bordo di un autobus e immaginatevi di dover stare sul suddetto autobus per 24 ore.  Immaginatevi anche di essere in una condizione fisica strana: la condizione di uno che non riesce a dormire piu' di due ore perche' quello che vede fuori dal finestrino e' il fast forward di un documentario della National Geographic. Beh ecco quello che mi e' successo. Zone desertiche, cactus giganti, paesini abitati da persone che vivono come in un altro mondo, chilometri e chilometri di foresta, canyon verdi pieni d'acqua. E ancora cittadine, paesini, palme e vallate immense con solo qualche vacca o qualche cavallo selvatico. Un viaggio meraviglioso e la sensazione che qualsiasi occhiata io stessi perdendo da quel finestrino, era un'immagine incredibile persa. Difficile addormentarsi.

Salvador (nessuno qua la chiama Salvador do Bahia, e non si sa perche' noi la chiamiamo cosi', comunque Salvador e' la citta' e Bahia e' lo stato) mi ha accolto in un buio pomeriggio piovoso. Dopo i racconti ed i commenti preoccupati di tutti (<<Stai attento,  mi hanno scavallato 5 volte in una settimana>>, <<E' pieno di drogati che non ci mettono niente a spararti per avere due soldi>> etc. etc.) pensavo di arrivare dritto all'inferno. Con quella pioggia poi... Fortuna che ad aspettarmi c'era Joao, un taxista buono e corpulento, che sarebbe stata la mia guida per questi giorni. Non sapevo quanto mi sarei fermato, ma certo non immaginavo che sarebbe stato il posto piu' importante del mio viaggio.

Gia' perche' proprio quel posto che ad una prima occhiata e' una citta' bizzarra e piena di brutta gente, e' in realta' la citta' con piu' energia che abbia mai visitato. Non staro' qui a fare una disamina delle bellezze del posto, ma spero vi basti immaginare che praticamente tutto quello che sapete sul Brasile (a parte il <<fucibol>> e le fighe in bikini) e'  qualcosa che proviene da Bahia. La capoeira, le batucadas (gruppi di percussionisti), tutti i vari strumenti, soprattutto percussioni, che avete sentito suonare magari a una qualche festa dell'Unita' (pardon Festa Democratica)... E poi ancora quelle belle immagini di una bellissima donna di colore che si affaccia ad una finestra colorata. E poi spiagge piene di gente e tanta, tanta tantissima musica.

Tutto questo e' Salvador. Ma io non sono venuto qui per imparare a ballare capoeira o per imparare a suonare qualche strumento come fa la maggior parte delle persone che passa da qui, ma per entrare un po' nella realta' del candomble', il culto  afrobrasiliano che ha una storia vecchia quanto il mondo ed e' molto, molto influente sulla vita delle persone di Bahia, e non solo.

Grazie a varie coincidenze ho conosciuto Mae V., una Mae do Santo, la piu' alta carica nel candomble'. E' una <<Big Mama>> con gli occhi profondi come il cielo, uno sguardo benevolo, una pazienza infinita e una forza incredibile. Questa donna vive nel mezzo di una favela (quartiere di San Marcus) a mezz'ora di macchina dal centro di Salvador (che per la croncaca si chiama Pelourinho). Ha una comunita' di donne che aiuta indistintamente chiunque si presenti alla sua porta. Adesso ha anche una scuola ed insegna a 40 bambini tutti figli di genitori tossicodipendenti. Lei non si ferma mai, non fa mai vacanza, si alza alle 6 e va a letto alle 10. Ogni giorno nella sua comunita' c'e' da mangiare per tutti. E la vedi li', cosi', ci parli e ti sembra una signora, una <<sciura>> come potrebbe essere la vostra vicina di casa, in pantofole e vestito a fiorellini.
Una come lei per me e' una vera VIP del mondo. Una donna straordinaria. Ringrazio il cielo di averla incontrata.

Da bambina, dai 3 ai 18 anni, Mae V. ha avuto una malattia rara alla pelle, nessuno le si avvicinava ed era sempre da sola. Quando si e' avvicinata al Candomble' ha cominciato a stare bene. Proprio quando e' guarita e' stata chiamata a lavorare per il Candomble', e ad aiutare gli altri. E da li' non si e' piu' fermata. Una vera santa.

Cosi' ancora una volta questo viaggio mi ha sorpreso e mi ha fatto capire dove poter trovare la luce anche nei posti dove droga, poverta' e violenza sono l'ordine del giorno. Forse, come dicevo nel primo post del viaggio (vedi http://laprovadellesistenzadiquesto.blogspot.com.br/2012/07/sulla-barca-che-non-si-ferma-mai.html) sto cominciando a capire la mia barca in che direzione stia andando.

ilmolinari


giovedì 16 agosto 2012

UN FINESETTIMANA QUASI ANOMALO

Per la prima volta dopo un mese e mezzo di viaggio sono stato male, ma male male male (cit. Abatantuono).
Non so cosa ho mangiato ne' so quando sia cominciato, ma per due giorni sono stato tra la tenda e il primo bagno disponibile. E' da mettere in conto quando si viaggia, credo. Comunque Pirenopolis era carina, una cittadina ben tenuta, in mezzo ad un paesaggio da sogno, vicina a tante cascate e sede di un festival gastronomico (a cui come potrete immaginare non ho partecipato).

La cosa particolare, pero', di questi ultimi giorni erano i miei compagni di viaggio, o meglio, le mie compagne.
Che situazione: io in casa con 7 ragazze <<sessualmente orientate>> (a.k.a. lesbiche).
<<Il sogno di ogni uomo>> direte voi. Beh ricordatevi lo stato in cui ero io, e immaginatevi gli usi ed i costumi di un branco di donne <<sessualmente orientate>>. Bevevano birra e fumavano fin dal mattino. Facevano discorsi da Bar sport, guardavano i culi delle ragazze e commentavano in una maniera che neanche il piu' viscido dei vari Sergio Vastano che incontriamo ogni giorno per strada in Italia le poteva battere. Verso le 2 del pomeriggio erano gia' belle svarionate a prendere il sole e limonare tra loro.

<<Il sogno di ogni uomo>> continuerete voi. Beh ricordatevi che di solito una coppia lesbo e' composta da una donna piu' <<femminea>> (ma dove mortacci sono le virgolette sulla tastiera brasiliana) ed una di solito piu' mascolina. Insomma e' stata un' esperienza strana. Comunque nonostante il mio sesso e nonostante la mia eterosessualita' sono stato accolto bene. Alla fine ero consapevole di essere in una situazione in cui raramente un uomo si ritrova, e quindi mi sono divertito a esplorare questo mondo.

Dopo questo weekendino felice tra cascate, mal di stomachi, e limoni saffici, sono tornato a Brasilia. Sapevo che sarei dovuto andare via. La mia prossima destinazione non l'avrei scoperta fino al giorno successivo, quando mi sono imbarcato per un viaggio in autobus di 24 ore. Ma questa e' un' altra storia.

ilmolinari