martedì 29 marzo 2011

Laurearsi a Milano è triste

Ieri sono andato alla laurea della mia amica Chiara. Mentre ero lì nel cortile dell'università pensavo che probabilmente sarebbe stata una delle ultime lauree, se non l'ultima, a cui partecipavo (brava Chiara).

Lo schema è sempre lo stesso: il candidato (vestito bene, ma non "da gara"), è all'ingresso della porta dove ci sarà "la discussione" della Tesi: un fascicolo ben rivestito, ma poco attraente (a meno che non ti laurei in design, allora sì che è pieno di disegni superfreak ed illustrazioni "coloured"). D'altronde una Tesi di laurea in Scienze Politiche può essere sicuramente interessante, ma non so quanto uno possa volerla leggere, così di un fiato, o prima di andare a letto.

La candidata è contorniata da parenti, che un po' sono contenti per lei, e un po' non hanno più voglia di aspettare che si apra quella cazzo di porta e questa pantomima abbia termine. Così si sta un'ora ad aspettare. In quest'ora la candidata è un po' tesa, ma tutto sommato abbastanza tranquilla: quel che fatto è fatto. Sfoggia un sorrisetto che maschera una lieve tensione cronica ai muscoli mandibolari. 

Nell'anticamera si parla del più e del meno, si sfoglia la tesi, si scattano foto (ma nessuno ha una macchina fotografica), si fanno domandine stupide all'amica del tipo "Sei tesa?", "Ma..hai fatto le slide?", "Da quanto parti?". Inevitabile poi recuperare aneddoti dalla propria esperienza: "Io mi sono impappinato trecento volte", "Vai tranquilla tanto non ti ascolta nessuno, neanche i professori", "Se parli piano e chiaro puoi dire anche delle stronzate che nessuno dirà niente". Ognuno ha la sua cazzata da rifilare.



Finalmente esce trionfante il candidato precedente. Dietro di lui una manica di persone vestite più o meno eleganti (diciamo "da lavoro") lo applaude. Sale la tensione. Si entra in aula, di corsa. Non sono ancora entrati tutti che uno tra gli svogliatissimi professori (ce n'è SEMPRE uno che è vestito in maniera molto eccentrica che di solito non ascolta o fa delle facce allucinanti) introduce la ragazza. E' una delle tante, delle troppe. Devono fare finta di essere interessati, e devono farlo alle 10 del mattino di una grigia giornata milanese in un aula buia dell'Università.

Nelle loro teste tutti, nessuno escluso, si chiedono perchè mai hanno sputato sangue e leccato culi per anni per poi finire proprio lì dentro. Non era meglio fare il pilota di F1 come dicevano alla maestra dell'asilo? Ok la carriera finisce verso i 38 anni ed è rischioso, però almeno ci avrebbero potuto provare...



Parte l'introduzione del tema da parte del relatore. Neanche ha finito di parlare che la candidata entra a gamba tesa con il suo discorso/sviolinata. Lo sa bene, perchè la tesi l'ha scritta lei, ma in quel momento non sta pensando ad altro che a quello che deve ricordarsi di dire. Le parole chiave, i nessi logici tra una frasetta e l'altra che erano scritti la sera prima sul foglio dove aveva ripassato "la discussione" ripetendola al padre il quale aveva annuito tutto il tempo, ma che di quello che gli aveva ripetuto a macchinetta la figlia non ci aveva capito un cazzo.



Un professore la interrompe. Le chiede "la domanda". La candidata, con fare spigliato, ma con una voce un po' stridula che tradisce una certa tensione per l'inaspettato quesito, snocciola nomi, anni e citazioni. Quasi tutti annuiscono, il professore vestito in maniera eccentrica grugnisce pulendosi gli occhiali. Tutti sono falsamente soddisfatti. Mani che si stringono.



La candidata si alza e se ne va. Dietro di lei seguiamo noi, amici e parenti, vestiti più o meno eleganti (diciamo "da lavoro") applaudendola. Davanti a lei una ragazza analoga (ma tu, Chiara, eri molto più bella di lei) vestita bene, ma non "da gara" guarda dentro l'aula con aria di sfida. Un sorrisetto nasconde le mascelle contratte.

Dopo le foto fatte dal fotografo "ufficiale" (un pover'uomo che deve fare il "preso bene" tutto il tempo e deve sorbirsi la stessa scena per tutto il giorno, ma che per questo prende 10 euro a foto...) aleggia nell'aria un che di finzione. La gente intorno alla candidata sorride, ma è stanca di stare lì. Tutti sono contenti per la ragazza che, sì ok, è contenta, ma sa che non è quella la sensazione giusta dopo aver sgobbato almeno un anno per quel fascicolo poco attraente.

C'è un che di falso. I parenti, stanchi, si dileguano. Il fidanzato stappa lo spumante (sarà il momento più eccitante della mattinata). Io cerco di creare un clima di festa (quella che dovrebbe esserci, ma che non c'è) e cerco di fare gridare la gente, ma mi ritrovo a gridare da solo come un cretino. La madre della laureata mi guarda come se fossi un pazzo ubriaco e mi apostrofa uno "scemo". Gli altri se ne vanno al lavoro.

Questo è il momento, il rituale, che apre le porte del mondo del lavoro alla ragazza. Ora che ha "il foglietto di carta" tutto sarà più facile.

Davvero?

Sarà tutto più facile?




I nostri giovani laureati italiani sono sottopagati, trattati come se fossero pericolosi detrattori di lavoro dai colleghi più anziani, soggetti a stalking, inseriti in contesti ostili, dove il loro potenziale viene completamente annichilito e costretti a firmare contratti indegni del loro percorso accademico. Sono quasi tutti incerti sul proprio futuro: pochi infatti sono quelli assunti e trattati come risorsa da coltivare. In più hanno grande difficoltà a slegarsi economicamente dalle famiglie dati gli elevatissimi affitti degli appartamenti (in media 450 euro al mese). Quand'è che capiranno che i giovani sono la più grande risorsa di energia del paese?

Quindi, questa va a tutti gli amici ed i parenti dei laureati d'Italia (ma soprattutto di Milano):

"Ragazzi, visto che la situazione è questa, quando vostro nipote/figlio/cugino/fidanzato/amico esce da quell'aula, con quella sensazione strana in corpo, almeno, cazzo, fate un po' di casino!"

domenica 27 marzo 2011

Perchè aprire un blog nell'era dei Social Network

Ecco, l'ho fatto. Dopo tanto pensare, per cercare di fare ordine tra le mie idee controverse su come usare internet e cercare di trovare uno scopo sensato e utile a tutto questo vociare, taggare, linkare, twittare eccetera (che bello poter scrivere eccetera!) alla fine mi sono deciso e ho aperto un blog.La mia è una presa di posizione, e anche una scelta consapevole dovute ambedue alla constatazione che passo ormai troppo tempo davanti ad uno schermo a "non fare niente", e per "niente" includo: guardare cose che in realtà non mi va di guardare, leggere cose che non mi va di leggere, leggere commenti o curiosare in profili che non vorrei leggere per poi scoprirmi io stesso voglioso di commentare (!!?!). Credo che i social network dopo averci messo in contatto e dopo averci dato la possibilità di scambiare informazioni, opinioni, fotografie, filmati, e chi più ne ha più ne "posti", abbiano cominciato a prendere una piega un po' inquietante. Sorvolo sul fatto che una pagina Facebook o Twitter sia la più palese manifestazione dell'Ego di ognuno, ovvero di quello che noi vorremmo idealmente essere, che noi vorremmo che gli altri vedessero, ed in cui tendiamo ad identificarci per trovare un certo tipo di consenso e di effimera sicurezza identitaria (ho sorvolato abbastanza?). La piega inquietante è data dal fatto che questi social network si sono trasformati piano piano in delle realtà troppo reali, talmente reali da RUBARCI del tempo che potremmo dedicare per lo meno a vivere la nostra realtà e la nostra vita PRESENTE (che non è certo carente di sorprese o di effetti speciali). Cioè ragazzi...guardiamoci un attimo in faccia: non vi è mai capitato di vivere un istante meraviglioso della vostra esistenza UNICA ed IRRIPETIBILE e subito dopo (appena subito dopo) pensare "Cazzo devo metterlo su Facebook: ho appena vissuto un istante bellissimo, questa è la foto di IO che vivo un istante meraviglioso COMMENTATEMI". A me è successo, è già successo più volte e continuerà a succedere. E' normale? NO CAZZO! Io la chiamo Malattia, poi ne possiamo parlare. Con questo non voglio dire che non userò più i social network. Facebook è molto utile per un sacco di cose e mi piace, sì mi piace e continuerò ad usarlo. Mi piace anche che la gente veda e commenti quello che "posto", va a rinfocillare il mio Ego che un po' ha bisogno di tanto in tanto di essere nutrito, anche se a volte esagera e fa indigestione. Ecco i social network sono come l'Herbalife per l'Ego: ne prendi un bicchierino, ti riempie una cifra, non è poi così buono, ti fa venire voglia di un altro bicchiere e ne diventi subito fan (tratto da una storia vera...).
Quindi, siccome la cosa (una delle cose) che più mi interessa al mondo è esprimermi nella maniera più autentica possibile, cercando di fare in modo che le idee passino attraverso di me e si incollino da qualche parte in maniera che possano suscitare qualche emozione senza che questo vada a rinfocillare troppo il mio già insaziabile Ego, ho deciso di aprire questo Blog e di chiamarlo così.

Questo Blog è la prova che esiste Questo, e Questo è quello che sto vivendo in questo momento. Questo è l'emozione, il pensiero, la sensazione, la percezione di questo stesso momento. Non si riferisce a nessun altro momento che non sia questo momento per me. In ogni istante accadono milioni di cose, e poi se ne vanno. Vorrei che queste cose che vivo, che sento, che penso in questo momento rimangano scritte da qualche parte e che possano potenzialmente essere utili per me e per tutti.

Sono le 3.24 am di Lunedì 28 Marzo 2011 e ringrazio.