lunedì 24 ottobre 2011

SIAMO IL NOSTRO CORPO ANCHE DAVANTI A UNO SCHERMO

Un mio amico fa un lavoro tutto sommato divertente: è il responsabile del sito di una famosa rivista di musica. Ha 29 anni, ha appena avuto un figlio, vive in affitto con la sua compagna in una casa abbastanza centrale a Milano. Ha un lavoro decente, ma lo pagano poco, tipo 1300 euro al mese (lordi, ricordatevi del bambino). Lavora dalle 9 del mattino alle 7 di sera ininterrottamente davanti ad uno schermo. Alla fine della giornata si dice talmente stravolto da non avere più le forze per fare nulla. Oramai la maggior parte della gente che conosco lavora davanti ad uno schermo. E questa cosa stanca, è molto stancante, sia per la testa (che continua a lavorare anche dopo essersi staccata), sia per gli occhi (radiazioni+informazioni costanti) e sia soprattutto per il corpo (sempre seduto, sempre nella stessa posizione, mai corretta).


Io ho tanti lavori, ma in questo momento non ne ho neanche uno che mi costringe nello stesso posto per più di 5 ore. Economicamente è debilitante e fisicamente è forse più stancante (devo muovermi continuamente, per non parlare che lavoro soprattutto di notte), ma tutto sommato sono contento di fare un po' di fatica fisica durante la giornata. Il corpo ha bisogno di muoversi. Spesso si sente dire o si legge questa frase: "Noi siamo il nostro corpo", il che vorrebbe dire che la nostra mente non è slegata dal corpo, anche se tutto sommato siamo sempre stati abituati a pensarlo. Nel nostro corpo c'è già tutto quello che c'è da sapere per conoscerci. E' come "un tempio", dicono.


L'idea del corpo come tempio è una bella idea. In un tempio si entra in un certo modo, non ci introduci cose che non siano sacre e soprattutto lo si pulisce e lo si tiene degno di essere un tempio. Se nel tempio introduci cose che non sono sacre, chessò, (esempio estremo) degli escrementi, il posto perde parte del suo valore  Quindi per tenere sano e pulito il nostro tempio, cioè il corpo, dovremmo pensare non solo a muoverci di più e a mangiare meglio, ma anche a introdurre solo tipi di informazione che possono esserci utili, che possono farci stare bene, o almeno meglio di come stiamo. Anche il calore e l'affetto degli altri è importante per mantenere sano il nostro corpo. Credo sia importante stare sempre a contatto con gente che ci fa star bene, cercando di capire quando una persona, invece, ci toglie energia.


Insomma, credo sia importante come esercizio cercare ogni giorno di chiedersi quale, tra i nostri comportamenti ci faccia stare bene o ci faccia stare male. Stare seduti davanti ad uno schermo per ore ci può far maturare intellettualmente, ma a rischio di una grave perdita di energia a livello fisico. E alla fine siamo talmente stanchi dopo ore di atrofizzazione del corpo, che alzarci e farlo muovere è per noi il più grande dei sacrifici. Io ho preso l'abitudine di prendermi un'ora al giorno in cui cerco di non fare NIENTE di mentale, cerco di non pensare a niente, ma faccio solo cose fisiche, o esercizi di movimento, o lavori fisici, se devo lavorare.


Siamo quasi tutti diventati dei "technology addicted", e molti di noi campano con i soldi guadagnati grazie alle loro doti informatiche, ma ricordiamoci che la vita VERA è una sola, e che anche il nostro corpo è uno, unico e sacro.


ilmolinari (davanti ad uno schermo..."ma valavurà")

domenica 9 ottobre 2011

Estate e ritorno

Freddo. Era troppo tempo che non se ne sentiva più neanche parlare. Ieri sera improvvisamente sono rispuntate giacche scure, maglioni e cappellini. La gente è andata a casa prima la notte, l'occhio pesto di molti era incorniciato da un bel colorito verde/giallognolo proprio della popolazione Milanese d'inverno. Quel piccolo animaletto che è in me mi ha ricordato quanto sia bello stare al caldo sotto una coperta piuttosto che stare in strada a gozzovigliare. Mi viene sempre un po' di tristezza a pensare che arriva l'inverno. Sia perchè la gente, bisogna dirlo, un po' si intristisce, sembra più stanca e più "rinunciataria"; sia perchè la "bella stagione" è oggettivamente più bella e più colorata (anche se "la brutta stagione" non si è mai sentito).


Quest'estate è passata lenta. L'ho vista scivolare sotto di me, ho visto cambiare i colori della città. Ecco, forse avrei dovuto fare come quelli che fanno una foto al giorno dallo stesso punto e poi te le fanno vedere in sequenza veloce (non credo comunque che lo farò mai). Agosto è stato mortale, quasi  stantìo. Un caldo così non lo sentivo da anni. Andavo ad una media di 8/9 docce al giorno. Le docce più insoddisfacenti dell'anno. Sudavo già dentro la doccia...un cane che si morde la coda. La città era deserta ed era, "tutta mia" come la canzone. Ho fatto conoscenza con persone che d'inverno non avevo notato. Per un po' di giorni mi è sembrato di vivere in un paese. Il barista sotto casa mia ha messo (illegalmente, ma io l'appoggio per questo) un tavolino fuori e per qualche giorno mi sono messo a leggere il giornale in canotta e ciabatte davanti ad un bel cappuccio. Mi sentivo in Sicilia. Mancava solo la granita e il brioscione. Certo l'asfalto (malleabile) della zona Centrale non aiutava.



Agosto è un mese strano per stare a Milano. Ci si rende conto dell'assurdità di questa città. Sembra quasi che davvero sia stata costruita per lavorarci dentro, e non per viverci, come se davvero non esistesse una vera differenza tra vivere e lavorare. E non appena si può non lavorare...scompaiono tutti. TUTTI! Di colpo. Chiudono negozi, bar, ristoranti e locali e tutti gli altri servizi, tutti nello stesso momento e per lo stesso periodo di tempo. Non ci sono neanche più sigarette nè benzina nei distributori 



Una città fantasma, popolata di gente che si riscopre, guarda un po', vogliosa di fermarsi a fare due chiacchiere. Ce la si racconta, si fanno le 6 del mattino a non fare niente. Si cammina in mezzo alla strada, ti senti in un non-luogo ed in un non-tempo. La città è in standby, lucina rossa lampeggiante. Si respira.

Poi di colpo. Senza preavviso. Tornano, TUTTI. Tutti insieme e tutti incazzati neri. Tutti svogliati di tornare a lavorare (= vivere?), tutti con ancora in corpo le serate a guardare le stelle e ad ubriacarsi. Tutti abbronzati, rassodati e vestiti in maniera curiosamente un po' etnica, per far vedere che il posto dove sono stati per tre settimane, in fondo, li ha un po' cambiati (quei vestiti ed accessori finiranno dentro un armadio e non ne usciranno più, a meno di qualche imprevista festa in maschera).

Per tutti questi "moderni Robinson Crusoe" quella città ferma ed ammutolita non è mai esistita. Sono tornati e la città è già veloce ed incazzata. Nessuno ha voglia di correre ed incazzarsi, ma è inevitabile non farlo, e così corrono e s'incazzano...e sbraitano e progettano. Settembre è il mese di preparazione all'inizio dell'inferno. L'1 Ottobre in quanto ad attività, traffico, inquinamento, facce gialle, e "produttività" potrebbe essere equiparabile, che ne so, al 18 Gennaio.



A quelli come me che hanno vissuto la città lenta e "senza tempo" è rimasta però una piccola consapevolezza: non è che la città sia veloce ed incazzata di suo, sono le persone che non hanno voglia di viverla, ma che "ci lavorano" e basta, che la rendono tale. Welcome home guys...("Valavurà!")

Piccoli angoli di "non tempo" comunque rimangono anche d'inverno. Sono ben nascosti e vanno cercati...tra un'incazzatura e l'altra cercherò di trovarli. Ci vediamo lì?

ilmolinari

sabato 4 giugno 2011

SENTIRSI VIVI IN CITTA'

Ora che tutto si è fermato, almeno per due giorni, per il ponte del 2 giugno, vorrei tornare indietro per poter rivivere tutto quello che mi è successo proprio qui a Milano in quest'ultimo mese. Tenete conto che sono tornato a Milano ad Agosto dell'anno scorso, dopo 4 anni fuori dalla mia città. Mai avrei pensato di tornare, e mai avrei pensato che, una volta tornato, potessi trovare finalmente un buon equilibrio, un buon modo di vivere la città.

Vivere bene Milano è difficile, e questo è sotto gli occhi di tutti: la gente non è "tanto affabile", ed in generale poco propensa al contatto. I milanesi sono dei timidoni, e sono anche molto riservati: si nascondono dietro i "Ciaocomestaibenetuu? Matucosafainellavita? Guardanostaseranonpossochedomanimialzopresto; Maiotihogiàvistodaqualchepartemanonmiricordodove"eccetra.. Questa timidezza è vista dagli altri un po' come se i milanesi se la menassero un po', e questo complica le cose. In più se fai una vita un po' "sottosopra", come quella che sto facendo io (lavoro quando gli altri sono in ferie e generalmente vivo più di notte che di giorno), è difficile trovare qualcuno che sia simile a te.

La città ha un certo ritmo: alle 5 gli uccellini cominciano a cantare; alle 6 si svegliano le macchine; dalle 7 alle 10 la gente si odia per le strade, dall'1 alle 2/2.30 pausa pranzo (quanti panini e piadine si consumeranno al giorno?); dalle 17.30 alle 20 la gente si continua stancamente ad odiare per le strade, alle 23.30 la maggior parte delle persone sono in branda o davanti allo schermo. Se tu vivi fuori da questo ritmo, e cerchi di seguire il tuo, a volte si presenta un particolare tipo di ansia: l'ansia del "non sto facendo niente", o del "non sono al passo con gli altri", che ti fa sentire solo ed incompreso. Ho sempre pensato (e da un certo punto di vista lo penso ancora) che le persone vivessero come delle macchine questa routine fatta di casa, trasporti e posto di lavoro, e ho sempre cercato di chiamarmi fuori da tutto ciò, ma per farlo c'è bisogno di un certo equilibrio interiore e di un certo rigore.

Prima di tutto non bisogna farsi influenzare dal vortice ansiogeno della città, c'è bisogno di rimanere ancorati al presente, ai fatti che ti si presentano davanti agli occhi, cercando di non andare troppo in là con la mente, o di non farsi trascinare troppo dalle ondate emotive proprie o degli altri ("Anche questo passerà").
Secondo: bisogna prendersi almeno mezz'ora/un'ora al giorno in cui si cerca di non pensare a niente, in cui
l'unico oggetto della nostra attenzione dev'essere il nostro corpo: come sta, come si muove, come respira, se prova dolore da qualche parte, se è contratto in alcuni punti, se ha mangiato bene o male, insomma, se funziona bene. Terzo: abbiamo necessariamente bisogno di contatto; di amici con cui avere delle relazioni autentiche, intime, amorevoli, che ti supportino, che ti ascoltino e che ti facciano capire quanto tu sei importante in quel momento per loro.

Nell'ultimo mese, però, Milano mi ha sopreso. Sono stato a concerti meravigliosi, pieni di migliaia di persone che cantavano a squarciagola; mi sono trovato in posti bellissimi, di notte, posti pieni dell'anima della città, da solo o in compagnia di un gruppo di pazzi pronti a tutto pur di ricavare dei momenti di vita vera dalla solita routine (una volta siamo saliti su una gru, di notte!); ho incontrato non solo persone, ma interi gruppi di persone che hanno voglia di vivere la città non come posto in cui si lavora e basta, ma come luogo in cui si vive, luogo in cui ogni momento è un momento particolare, che va vissuto in una maniera particolare, e non pensando a cosa succederà dopo; mi sono emozionato a vedere piazze stracolme di persone prese da dio, a festeggare un possibile cambiamento di mentalità della città (donne, uomini, ragazzi, vecchi e bambini tutti in piazza del Duomo ad urlare...incredibile!). La città non è così stanca e monotona come pensavo, o come la vedevo. Certo, magari è un po' isterica, un po' nervosa e molto lunatica, ma quando ha da farsi sentire si fa sentire eccome!

E il valore più grande di questa città, come al solito, sono le persone. Persone che sembravano essersi nascoste per 20 anni dentro il loro piccolo mondo fatto di famiglia, studio, lavoro, soldi e aperitivi con i soliti amici del liceo, improvvisamente risorgono e manifestano tutta la loro voglia di parlare, di conoscersi, di dire la propria, di ballare, di suonare, di festeggiare, di abbracciare, di esprimersi, di farsi vedere.


Non so se sono io che ho cambiato "colore delle lenti degli occhiali" attraverso i quali guardavo questa città, ma sembra proprio che Milano stia cambiando. Una quantità immane di energia che fino a poco tempo fa era stantìa, ferma, ha ricominciato a girare vorticosamente. Si sente un'aria diversa, vento di cambiamento, e questo non credo sia collegato solamente al risultato politico di queste ultime elezioni amministrative. Quest'aria di cambiamento e di rinascita si avverte in tutto il mondo. In alcuni posti l'energia era già ferma da troppo tempo, e la sua esplosione è stata più brutale. In altri il cambiamento sta arrivando piano piano, sotto diverse forme.

Forse sono un idealista oppure mi sono montato un po' troppo la testa, e vedo solo quello che mi conviene vedere, ma penso che stiamo assistendo ad un momento storico, epocale, un cambiamento di era che qualcuno aveva già annunciato e che stavamo aspettando da tanto.

domenica 1 maggio 2011

INSONNIA, PENSIERI E CAFFETTIERE

Avete presente quando vi mettete a letto con tutte le migliori intenzioni di farvi finalmente la più bella delle dormite, e poi vi girate e rigirate nel letto sbuffando e chiedendovi perchè avete fatto quel tremendo spuntino proprio prima di lavarvi i denti? Beh forse è un po' troppo specifica come situazione, ma si dà il caso che io in questo momento ci sono dentro fino al collo. Le bruschette si rigirano nello stomaco, e il metabolismo è settato sulla modalità "post-pranzo": sarà ora di mettersi un po' a posto con gli orari?

Forse  però sono proprio queste notti le più fertili per scrivere, con tutte quelle immagini che ti svolazzano qua e là nella testa... Così mosso da raptus eccomi qui come un pazzo nottambulo.
Il bello è che a due centimetri dal computer c'è una persona che se la ronfa in santa pace, assorta nei suoi sogni. Mi piace pensare che in questo momento stiamo vivendo in due dimensioni diverse. Chissà se dal mondo dei sogni la nostra amica ci starà sentendo in qualche modo.

Prima di andare a letto ho parlato un attimo con l'ex inquilina che dormiva in questa stessa camera ed in questo stesso letto prima di me. Abbiamo fatto le classiche due parole che si fanno con qualcuno prima di andare a dormire. Così, un po' sottovoce fumando l'ultima sigaretta. Abbiamo convenuto sul fatto che la famosa ditta che costruisce caffettiere moka dovrebbe smetterla di seguire il design e continuare a fare le classiche caffettiere ottagonali che sono sempre andate bene. Queste nuove caffetiere tonde e ad incastro non valgono niente. Poi vuoi mettere il fischio di queste qui nuove con il solito rassicurante "rrooohh" della caffettiera vecchia? Belle queste considerazioni notturne..

Poi sono andato a letto, e giù a pensare, pensare e ripensare. I maestri dicono:"l'unico segreto della vita è quello di viverla nel modo più consapevole possibile", e quindi cercare di osservare e di stare attento a tutto quello che stai facendo, mentre lo stai facendo. Il concetto è semplice da capire, ma è difficile da mettere in pratica, specie quando sei fermo in un letto. Così mi sono fermato ad osservare silenzioso il mio vortice di pensieri. E' pazzesco come i pensieri si incastrino gli uni sugli altri senza una logica prestabilita. Pensi ad una cosa, una situazione o una fantasia, e da un minuscolo dettaglio si apre una porta da cui scaturisce tutt'altro pensiero. Incredibile no?

D'altronde pensare non è un male, finchè i pensieri su possibili eventi futuri o su eventi passati ricordati non ti distolgono completamente l'attenzione da quello che fai quando lo fai. Così mi accorgo che di fianco al computer c'è una bellissima schiena che si muove a tempo di respiro. La sfioro con le dita e lei reagisce con un "hm". Mi viene da ridere pensando che quello è un suono che viene da un altra dimensione. Fuori gli uccellini hanno cominciato a cinguettare. Tra meno di due ore le macchine in strada ricominceranno a fare casino. Tutto è fermo, ma vivo.

Beh dai...tutto sommato non è poi così male stare svegli mentre il mondo dorme. 'Notte...

mercoledì 20 aprile 2011

LA SEMPLICITA' DEL CONTATTO AUTENTICO

In queste settimane sono rimasto un po' sconnesso dalla rete. Devo dire che quest'ansia di rimanere "collegati" a tutti costi da un lato mi incuriosisce e dall'altra mi spaventa. Non perchè sia contro al fatto di condividere con gli altri i tuoi pensieri e i tuoi contenuti, anzi, più c'è condivisione meglio è. Mi spaventa il fatto che privilegiando la comunicazione "di contenuto breve e scritto" si vada lentamente a perdere la spontaneità del contatto "vero e proprio". Quando si parla di qualcosa, ma anche quando si scrive di qualcosa in maniera più o meno ragionata, consapevole e sostanziosa, ci sono, oltre ai contenuti del messaggio, l'inflessione della voce, il tono, la decisione e la maniera con cui uno comunica qualcosa, e tutta una serie di stimoli che si vanno a perdere nella comunicazione "postata" o "twittata". Nel contatto tra due persone ci sono poi la maniera con cui uno ti guarda, la maniera con cui uno ti ascolta, quanto ti guarda negli occhi, quanto sa reggere il tuo sguardo, quanto ti senti accolto e quanto con quella persona si può andare più in profondità nei discorsi per non fermarsi al "Comestaibeneetuu?" o al "Tuttobeneee?". Tutte queste caratteristiche fanno parte della personalità di ognuno e, credo,  vanno coltivate e affinate internamente e vanno conosciute ed esplorate negli altri, soprattutto se si vuole diventare dei bravi comunicatori. In queste ultime tre settimane ho viaggiato tanto e ho riscoperto il sapore dello stare a contatto con le persone a cui voglio davvero bene e con cui c'è una comunicazione vera, spontanea, affettiva ed autentica. Queste persone mi hanno fatto riscoprire la semplicità dello stare insieme senza dirsi niente, del sapere di essere accettati senza giudizio, senza critica, senza la necessità di dover dimostrare qualcosa. Semplicemente essere sè stessi, una cosa che sta diventando sempre più difficile. Ho riscoperto il piacere di conoscere nuove persone senza fare niente perchè queste si leghino a me. La semplicità dello stare insieme IN QUEL MOMENTO, del guardarsi negli occhi, del sapere che tra di noi c'è qualcosa che va aldilà delle parole. Ho cercato di privilegiare questo tipo di esperienze. Tornato a Milano ho trovato più difficoltà nel trovare contatto autentico. Ho perlopiù visto gente che non riesce a stare attenta a quello che ci si sta dicendo perchè tutta intenta a stare dietro ai messaggi del proprio iphone. E certo stare dietro a tutti questi messaggi è un vero e proprio lavoro e porta via un sacco di tempo, di energia e di concentrazione! Attraverso i social network si può trovare tanto affetto e riconoscimento, cose che fanno sicuramente piacere, ma che non potranno mai sostituire il piacere ed il calore che si prova quando stai avendo uno scambio di energie con la persona che ti sta guardando in faccia o che sta ascoltando la tua voce. Durante il fine settimana parliamo con molti ascoltatori, e con alcuni, credo, siamo riusciti ad instaurare questo tipo di rapporto, questa piccola confidenza. Spero di poterne sentire ancora tanti altri e di poter creare con loro questo collegamento, questo contatto sottile. E' questo l'appello che mi viene di fare: ragazzi non lasciamo che lo stare "connessi" ci faccia chiudere ancora di più di quanto già siamo. A questa provocazione potreste rispondermi:"Andrea, ma noi non siamo chiusi". Vi rispondo: provate a farvi toccare la faccia o anche solo a farvi guardare negli occhi per più di 5 minuti da qualcuno di cui vi fidate, ma che non conoscete tanto, e cercate di capire quanto riuscite a lasciarvi andare al contatto. L'unica vera realtà è quella che viviamo attraverso i nostri sensi, se abbiamo 500.000 amici su facebook, ma siamo soli, è ora di scollarsi da quello schermo e di ricominciare a scoprire la meraviglia della vera realtà.

lunedì 4 aprile 2011

Quando tutto va come non deve, chi è il vero responsabile?

Pochi anni fa ho deciso di affrontare la realtà di ogni giorno cercando di tenere a mente alcune leggi fondamentali:

1. Quando qualcosa "succede" c'è sempre una ragione, o meglio, se milioni di milioni di micro-eventi hanno coinciso per fare in modo che ti succedesse quella determinata cosa, sicuramente non è un caso;
2. TU non sei staccato da tutto questo flusso di eventi, ma ne fai parte, in un tutto organico, e più ne sei consapevole, più puoi influire sulla direzione del flusso.
3. Quindi TU sei completamente responsabile di TUTTO quello che ti "succede"
4. Meno ne sei consapevole, meno pensi di influire sul flusso di eventi. Ti levi dalla responsabilità dei fatti e la attribuisci a qualcuno che tu pensi come "altro da te" (governo, sfiga, marito, genitori, tamarri, comunisti eccetera...)




Queste 4 semplici frasi, se incistate nel proprio sistema di credenze, potrebbero aiutare chiunque ad accettare, non dico con piacere, ma almeno con un certo consapevole distacco (il che non vuol dire non provare nulla, ma almeno sapere di star provando una determinata emozione quando la stai provando), ogni situazione che arriva.

Ora, queste parole sicuramente faranno rizzare i capelli in testa a molte persone. Lo so perchè vivo da quando sono piccolo contorniato da scettici, su qualsiasi cosa, e lo sento sulla mia pelle ogni giorno. Non è un problema, ogni concetto scritto, detto o pensato può essere interpretato in infinite maniere da tante teste diverse. Parliamone.

La cosa difficile però, almeno per me, è cercare di tenere l'attenzione su queste 4 semplici frasi, di farmele venire in mente quando serve, specie se poi succede qualcosa come quello che è successo a me sabato pomeriggio.



Questo fine settimana avevo estremamente bisogno della macchina (cosa che odio) per andare avanti ed indietro tra la Val d'Aosta e Milano per lavoro. Nel primo viaggio di ritorno verso Milano, nel più insospettabile dei luoghi e dei momenti (tratto della MI-TO tra Santià e Carisio verso le 14.15) un piccione ha pensato bene di espletare le sue funzioni "cloacali" sul parabrezza della mia auto. Ora: quante probabilità ci sono che un piccione, il quale sta volando alto su un territorio sconfinato, espleti proprio sulla tua macchina? Poche, ve lo dico io.

Nel momento preciso in cui "l'oggetto organico volante" non identificato si appiccicava sul vetro, il gas dell'auto ha smesso di funzionare. Avevo appena fuso la testata del motore. Quante probabilità potevano esserci che due eventi così stronzi potessero capitare così in sincronia? POCHE, state cominciando a capire, bravi!

Nel momento preciso in cui la macchina si è fermata, ho percepito alzarsi il vento intorno alla vettura, il quale ha reso visibile ai miei occhi attoniti lo sbandierare tranquillo di una multa di 40 euro attaccata al tergicristallo destro. Prima di allora quella multa, non solo non era stata neanche lontanamente notata, ma NON ESISTEVA.


Vorrei proprio sapere come ve la sareste cavata in una situazione del genere. Cosa avreste sentito? Cosa avreste fatto? Con chi ve la sareste presa? Aggiungiamoci pure che un'ora più tardi cominciava il programma alla radio; che la tessera ACI era scaduta (cosa accertata dopo circa 10 telefonate sotto il sole in quella terra di nessuno che è l'autostrada) e che quindi avrei dovuto pagare l'uomo del carro attrezzi (che mi ha fatto aspettare un'ora). Cigliegina sulla torta, in entrata a Milano c'era bordello (ma bordello vero) perchè un'ora più tardi sarebbe iniziato il derby.

Beh che dire io l'ho vissuta bene. Certo...ho un po' bestemmiato, ma poi ho capito che ero entrato in un flusso di eventi ineluttabili, che io avevo creato (la macchina perdeva acqua ed io lo sapevo) e dai quali non potevo sottrarmi.

Nel momento in cui me ne sono fatto completamente responsabile ho potuto notare cose che, da incazzato col mondo, non avrei notato: i denti assurdi del tipo dell'ACI (un personaggio da fumetto); quant'è bello il piemonte con i suoi campi; quanto sia comicamente complicato quando in Italia qualcosa che usi abitualmente non va (mi hanno fatto entrare nel casottino del casellante per firmare il modulo che sanciva la mia uscita dall'autostrada...pazzesco!); quanto, tutto sommato, questo andare sempre così veloci ci fa perdere la cognizione dello spazio e del tempo.

Tutto, poi, è tornato alla normalità. Ho raggiunto la radio per l'ultima mezz'ora di programma e non ci sono stati più eventi fuori dalla "norma" per quella giornata.



La vita nelle città passa tranquilla, tra miliardi di eventi che succedono in sincrono, e milioni di persone non si preoccupano e si lasciano trasportare convinti che non siano responsabili di quello che succede intorno a loro. Poi quando capita qualcosa di così assurdo, di così deviante dalla normalità ci si chiede "Perchè proprio a me sta succedendo tutto questo?" E per non cercare una risposta ce la si prende con qualcuno o qualcosa che abbiamo più a portata. Credo che sia ora di prenderci la responsabilità del nostro destino.

martedì 29 marzo 2011

Laurearsi a Milano è triste

Ieri sono andato alla laurea della mia amica Chiara. Mentre ero lì nel cortile dell'università pensavo che probabilmente sarebbe stata una delle ultime lauree, se non l'ultima, a cui partecipavo (brava Chiara).

Lo schema è sempre lo stesso: il candidato (vestito bene, ma non "da gara"), è all'ingresso della porta dove ci sarà "la discussione" della Tesi: un fascicolo ben rivestito, ma poco attraente (a meno che non ti laurei in design, allora sì che è pieno di disegni superfreak ed illustrazioni "coloured"). D'altronde una Tesi di laurea in Scienze Politiche può essere sicuramente interessante, ma non so quanto uno possa volerla leggere, così di un fiato, o prima di andare a letto.

La candidata è contorniata da parenti, che un po' sono contenti per lei, e un po' non hanno più voglia di aspettare che si apra quella cazzo di porta e questa pantomima abbia termine. Così si sta un'ora ad aspettare. In quest'ora la candidata è un po' tesa, ma tutto sommato abbastanza tranquilla: quel che fatto è fatto. Sfoggia un sorrisetto che maschera una lieve tensione cronica ai muscoli mandibolari. 

Nell'anticamera si parla del più e del meno, si sfoglia la tesi, si scattano foto (ma nessuno ha una macchina fotografica), si fanno domandine stupide all'amica del tipo "Sei tesa?", "Ma..hai fatto le slide?", "Da quanto parti?". Inevitabile poi recuperare aneddoti dalla propria esperienza: "Io mi sono impappinato trecento volte", "Vai tranquilla tanto non ti ascolta nessuno, neanche i professori", "Se parli piano e chiaro puoi dire anche delle stronzate che nessuno dirà niente". Ognuno ha la sua cazzata da rifilare.



Finalmente esce trionfante il candidato precedente. Dietro di lui una manica di persone vestite più o meno eleganti (diciamo "da lavoro") lo applaude. Sale la tensione. Si entra in aula, di corsa. Non sono ancora entrati tutti che uno tra gli svogliatissimi professori (ce n'è SEMPRE uno che è vestito in maniera molto eccentrica che di solito non ascolta o fa delle facce allucinanti) introduce la ragazza. E' una delle tante, delle troppe. Devono fare finta di essere interessati, e devono farlo alle 10 del mattino di una grigia giornata milanese in un aula buia dell'Università.

Nelle loro teste tutti, nessuno escluso, si chiedono perchè mai hanno sputato sangue e leccato culi per anni per poi finire proprio lì dentro. Non era meglio fare il pilota di F1 come dicevano alla maestra dell'asilo? Ok la carriera finisce verso i 38 anni ed è rischioso, però almeno ci avrebbero potuto provare...



Parte l'introduzione del tema da parte del relatore. Neanche ha finito di parlare che la candidata entra a gamba tesa con il suo discorso/sviolinata. Lo sa bene, perchè la tesi l'ha scritta lei, ma in quel momento non sta pensando ad altro che a quello che deve ricordarsi di dire. Le parole chiave, i nessi logici tra una frasetta e l'altra che erano scritti la sera prima sul foglio dove aveva ripassato "la discussione" ripetendola al padre il quale aveva annuito tutto il tempo, ma che di quello che gli aveva ripetuto a macchinetta la figlia non ci aveva capito un cazzo.



Un professore la interrompe. Le chiede "la domanda". La candidata, con fare spigliato, ma con una voce un po' stridula che tradisce una certa tensione per l'inaspettato quesito, snocciola nomi, anni e citazioni. Quasi tutti annuiscono, il professore vestito in maniera eccentrica grugnisce pulendosi gli occhiali. Tutti sono falsamente soddisfatti. Mani che si stringono.



La candidata si alza e se ne va. Dietro di lei seguiamo noi, amici e parenti, vestiti più o meno eleganti (diciamo "da lavoro") applaudendola. Davanti a lei una ragazza analoga (ma tu, Chiara, eri molto più bella di lei) vestita bene, ma non "da gara" guarda dentro l'aula con aria di sfida. Un sorrisetto nasconde le mascelle contratte.

Dopo le foto fatte dal fotografo "ufficiale" (un pover'uomo che deve fare il "preso bene" tutto il tempo e deve sorbirsi la stessa scena per tutto il giorno, ma che per questo prende 10 euro a foto...) aleggia nell'aria un che di finzione. La gente intorno alla candidata sorride, ma è stanca di stare lì. Tutti sono contenti per la ragazza che, sì ok, è contenta, ma sa che non è quella la sensazione giusta dopo aver sgobbato almeno un anno per quel fascicolo poco attraente.

C'è un che di falso. I parenti, stanchi, si dileguano. Il fidanzato stappa lo spumante (sarà il momento più eccitante della mattinata). Io cerco di creare un clima di festa (quella che dovrebbe esserci, ma che non c'è) e cerco di fare gridare la gente, ma mi ritrovo a gridare da solo come un cretino. La madre della laureata mi guarda come se fossi un pazzo ubriaco e mi apostrofa uno "scemo". Gli altri se ne vanno al lavoro.

Questo è il momento, il rituale, che apre le porte del mondo del lavoro alla ragazza. Ora che ha "il foglietto di carta" tutto sarà più facile.

Davvero?

Sarà tutto più facile?




I nostri giovani laureati italiani sono sottopagati, trattati come se fossero pericolosi detrattori di lavoro dai colleghi più anziani, soggetti a stalking, inseriti in contesti ostili, dove il loro potenziale viene completamente annichilito e costretti a firmare contratti indegni del loro percorso accademico. Sono quasi tutti incerti sul proprio futuro: pochi infatti sono quelli assunti e trattati come risorsa da coltivare. In più hanno grande difficoltà a slegarsi economicamente dalle famiglie dati gli elevatissimi affitti degli appartamenti (in media 450 euro al mese). Quand'è che capiranno che i giovani sono la più grande risorsa di energia del paese?

Quindi, questa va a tutti gli amici ed i parenti dei laureati d'Italia (ma soprattutto di Milano):

"Ragazzi, visto che la situazione è questa, quando vostro nipote/figlio/cugino/fidanzato/amico esce da quell'aula, con quella sensazione strana in corpo, almeno, cazzo, fate un po' di casino!"

domenica 27 marzo 2011

Perchè aprire un blog nell'era dei Social Network

Ecco, l'ho fatto. Dopo tanto pensare, per cercare di fare ordine tra le mie idee controverse su come usare internet e cercare di trovare uno scopo sensato e utile a tutto questo vociare, taggare, linkare, twittare eccetera (che bello poter scrivere eccetera!) alla fine mi sono deciso e ho aperto un blog.La mia è una presa di posizione, e anche una scelta consapevole dovute ambedue alla constatazione che passo ormai troppo tempo davanti ad uno schermo a "non fare niente", e per "niente" includo: guardare cose che in realtà non mi va di guardare, leggere cose che non mi va di leggere, leggere commenti o curiosare in profili che non vorrei leggere per poi scoprirmi io stesso voglioso di commentare (!!?!). Credo che i social network dopo averci messo in contatto e dopo averci dato la possibilità di scambiare informazioni, opinioni, fotografie, filmati, e chi più ne ha più ne "posti", abbiano cominciato a prendere una piega un po' inquietante. Sorvolo sul fatto che una pagina Facebook o Twitter sia la più palese manifestazione dell'Ego di ognuno, ovvero di quello che noi vorremmo idealmente essere, che noi vorremmo che gli altri vedessero, ed in cui tendiamo ad identificarci per trovare un certo tipo di consenso e di effimera sicurezza identitaria (ho sorvolato abbastanza?). La piega inquietante è data dal fatto che questi social network si sono trasformati piano piano in delle realtà troppo reali, talmente reali da RUBARCI del tempo che potremmo dedicare per lo meno a vivere la nostra realtà e la nostra vita PRESENTE (che non è certo carente di sorprese o di effetti speciali). Cioè ragazzi...guardiamoci un attimo in faccia: non vi è mai capitato di vivere un istante meraviglioso della vostra esistenza UNICA ed IRRIPETIBILE e subito dopo (appena subito dopo) pensare "Cazzo devo metterlo su Facebook: ho appena vissuto un istante bellissimo, questa è la foto di IO che vivo un istante meraviglioso COMMENTATEMI". A me è successo, è già successo più volte e continuerà a succedere. E' normale? NO CAZZO! Io la chiamo Malattia, poi ne possiamo parlare. Con questo non voglio dire che non userò più i social network. Facebook è molto utile per un sacco di cose e mi piace, sì mi piace e continuerò ad usarlo. Mi piace anche che la gente veda e commenti quello che "posto", va a rinfocillare il mio Ego che un po' ha bisogno di tanto in tanto di essere nutrito, anche se a volte esagera e fa indigestione. Ecco i social network sono come l'Herbalife per l'Ego: ne prendi un bicchierino, ti riempie una cifra, non è poi così buono, ti fa venire voglia di un altro bicchiere e ne diventi subito fan (tratto da una storia vera...).
Quindi, siccome la cosa (una delle cose) che più mi interessa al mondo è esprimermi nella maniera più autentica possibile, cercando di fare in modo che le idee passino attraverso di me e si incollino da qualche parte in maniera che possano suscitare qualche emozione senza che questo vada a rinfocillare troppo il mio già insaziabile Ego, ho deciso di aprire questo Blog e di chiamarlo così.

Questo Blog è la prova che esiste Questo, e Questo è quello che sto vivendo in questo momento. Questo è l'emozione, il pensiero, la sensazione, la percezione di questo stesso momento. Non si riferisce a nessun altro momento che non sia questo momento per me. In ogni istante accadono milioni di cose, e poi se ne vanno. Vorrei che queste cose che vivo, che sento, che penso in questo momento rimangano scritte da qualche parte e che possano potenzialmente essere utili per me e per tutti.

Sono le 3.24 am di Lunedì 28 Marzo 2011 e ringrazio.