lunedì 28 ottobre 2013

A PROPOSITO DEL CERCHIO DI CONDIVISIONE

Prima di incominciare a condurre il Cerchio di Condivisione non avevo idea di quali potessero essere le questioni che potevano sorgere nell’organizzare questo tipo di gruppo . Mi dicevo che un gruppo del genere avrebbe potuto interessare pochissime persone a Milano, soprattutto ero scettico rispetto a come spiegare un gruppo del genere alla gente. Non è infatti un gruppo in cui si “fa” qualcosa, in particolare, non è un gruppo di Yoga o un gruppo in cui si spiega una qualche tecnica terapeutica particolare. E’ un gruppo in cui si aiuta la gente ad esprimersi, ad osservare e ad accogliere delle parti di sé, a condividere, ad ascoltare, se stessi e gli altri, a rimanere nel momento presente. Personalmente, non appena sono entrato in contatto con questo genere di attività ne ho subito colto la grande importanza.

Ho frequentato il mio primo cerchio di condivisione nel 2008 a Padova e l’ho seguito per i seguenti 2 anni. Dopo un cerchio mi sentivo sempre in grande forma, magari anche stanco, ma di quella stanchezza sana, come se fossi stato ripulito. Dopo essermi svuotato delle mie tensioni, avevo immagazzinato nuova energia, energia fresca, e chiarezza mentale. Godevo di questo beneficio in maniera forse un po’ ingenua, senza spiegarmelo, ma mi nutrivo di questo, da semplice fruitore, facente parte del gruppo. Godevo dell’essere parte di questo cerchio ed ero grato di aver trovato una cosa così particolare. Capivo che era una cosa utile, ma non mi spiegavo il perché.

La grande consapevolezza è arrivata dopo un viaggio in Brasile. Qui sono entrato in contatto con diverse realtà e ho potuto vivere in prima persona cosa significasse, per un periodo di tempo limitato, vivere completamente in comunità e in un ambiente permeato dallo spirito della condivisione. Solo qui mi sono reso conto di cosa volesse dire “condividere” davvero. Certo, ognuno aveva la sua tenda ed il suo spazio, ma per il resto del tempo, nel gruppo che ho frequentato in Brasile, tutte le altre attività si organizzavano ed espletavano insieme. Più di tutte le altre cose, le attività fondamentali di questo gruppo di persone erano cucinare insieme e mangiare insieme. Prima di mangiare si faceva un grande cerchio, ci si armonizzava, e si cantava insieme. Poi chi aveva qualcosa da dire lo diceva. Si davano le comunicazioni importanti e chi aveva qualcosa da condividere condivideva. In più si utilizzava il “bastone della parola”, metodo utilizzato dai nativi americani e che facilita la condivisione.


Quando c’era la fila per andare a prendere da mangiare notavo che dentro di me qualcosa mi diceva: “Devo tagliare la fila o rimarrò con meno cibo! Ecco, ho fame e adesso devo aspettare che tutti arrivino per mangiare…cazzo! Ma quanto ci mettono questi a cucinare, FAAAME! EEbbravo questo che si mette davanti a me nella fila” Quando ho cominciato ad osservare questi miei pensieri, mi sono reso conto di quanto poco ero abituato a condividere. Mi sono reso conto che fin da quando andavo a scuola non ho fatto altro che cercare di cavarmela in ambienti in cui se non entravi nella competizione in qualche maniera non sopravvivevi, o rimanevi indietro (ergo rimanevi senza cibo = pericolo di morte). Mi sono reso conto di quanto tutte le persone che mi hanno accompagnato durante tutta la vita avevano completamente eliminato la mentalità della condivisione. Non la consideravano neanche “una modalità fallimentare di vivere”: non la consideravano proprio, non la consideravano più.. Questo perché ci hanno sempre insegnato che “Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio”, che l’uomo si è evoluto per “selezione Naturale” del più forte rispetto al più debole e che per trovare una buona definizione di chi uno sia, bisogna vedere cosa ha ottenuto rispetto agli altri.


Condividere, prendere il proprio posto in un gruppo in cui tutti si ritrovano, in cui tutti si sentono liberi di appartenere, e in cui tutti sanno che basta anche solo un minimo contributo per far parte di qualcosa di grande, creato dal gruppo (che come si sa, è più della somma delle sue parti) era qualcosa che nella mia testa non esisteva. Era una fiducia ormai estinta di un passato che non avevo neanche mai pensato di andare a cercare nei libri. Un gruppo di persone che sanno che sono unite da un filo invisibile, un denominatore comune che ha a che fare con qualcosa che sta dietro le quinte della nostra realtà, che è Inconoscibile, di cui tutti facciamo parte, ma le cui manifestazioni diventano chiare, evidenti, solo se si hanno gli occhi per vedere. Un gruppo di persone che, proprio per queste ragioni, per queste sensazioni, sentono di dover stare insieme e volersi bene, era davvero quello che la mia anima cercava da tanto.  


Dopo aver vissuto una realtà del genere in una maniera così forte e così chiara, mi sono chiesto come sarebbe stato possibile (ri)portare questo modello, questa mentalità, questo modo di vivere, di comunicare, e di agire nella vita, anche in posti (come la mia città per esempio) dove questa mentalità era ormai sparita. Spostandomi, sempre in Brasile, da una realtà comunitaria provvisoria stanziata in una località rurale, ad una realtà semi-comunitaria stanziata però in una città, ho visto come, una volta tornati in una grande metropoli, le cose, per un gruppo di persone che aveva intenzione di vivere seguendo la logica della condivisione, si facevano molto più complicate. Ognuno aveva i suoi orari, ognuno aveva i suoi interessi ed i suoi gusti. Non era più possibile comprare il cibo tutti insieme, perché non era possibile mangiare tutti insieme, e quindi non era neanche possibile organizzarsi bene per essere tutti d’accordo anche solo per una cosa così semplice come il cibo. Questo mi ha fatto riflettere molto sulla possibilità di importare la mentalità di condivisione in un luogo, come le città, dove ognuno bada a se stesso, dove il tempo sembra scorrere più veloce, dove ci sono degli orari, e dove non c’è quell'armonia di fondo che facilità il processo comunitario e l’ascolto consapevole di se stessi e degli altri.


Essendo le persone della città  (ma allargherei questa condizione anche a molte più persone che vivono quest’epoca in cui regna sovrana la mentalità della competizione) molto più condizionate da tutto quello che le circonda, e quindi più ostacolate nel processo che può portare a sentire l’unità laddove si vede solo divisione, mi sono chiesto da dove bisognasse partire per cominciare a ri-instillare nelle persone il senso di comunità, il senso di appartenenza, la voglia di condividere e di sentirsi tutti fratelli. Dove andare a parare, quindi, per creare una convivenza armonica e civile tra le persone se anche solo una cosa così semplice come quella di “mangiare insieme” diventa un problema? 


Forse la soluzione sarebbe stata partire dalla base, dal cominciare con le dinamiche di interazione, le dinamiche di ascolto di se stessi. Proprio allora sono arrivato a comprendere l’essenza dei gruppi di condivisione. Mi sembrava che questi gruppi, rispecchiassero questa mia voglia di instillare il valore della condivisione ad un livello base, partendo proprio dall'osservazione di se stessi. Credo sia inutile infatti, e anche questo l’ho capito solo dopo, pretendere che una persona entri nella logica della condivisione, se prima non ha cominciato ad osservare i proprio processi interiori in un clima accogliente in cui si richiamano le persone ad osservare il proprio giudizio e ad accogliere tutto quello che sentono e che vivono all'interno del cerchio. Ed i gruppi di condivisione, per come posso averli compresi in questi anni, puntano proprio a quello.

Siamo troppo disabituati a vivere condividendo le nostre cose materiali, o il nostro tempo con gli altri: per rincominciare ad entrare nella mentalità della condivisione c’è necessità di ripartire da un livello più sottile, il livello delle proprie emozioni, sensazioni e anche dei propri pensieri.

La cosa più emozionante, nella costituzione del gruppo di condivisione di Milano, è stato l’osservarne la formazione. C’è stato qualcuno che ha aderito subito, acriticamente. Alcuni ci hanno messo un po’ di più, ma ne hanno colto il valore dopo pochi incontri. Altri ancora hanno transitato sempre un po’ lontani dal fulcro di gravità, come pianeti lontani che però non si staccavano mai, e rimanevano lì, in osservazione, e a volte riuscivano anche a nutrirsi dell’energia del cerchio.


Durante i primi incontri ho da subito sentito una grande forza che in qualche modo faceva sì che le cose accadessero. Questo gruppo aveva tante connotazioni diverse perché ogni partecipante aveva una storia diversa e proveniva da un angolo diverso di questa città. Già dopo le prime sedute si è venuto a formare uno “zoccolo duro” di persone che poi hanno fatto in modo che gli incontri del gruppo andassero avanti fino a Giugno senza alcuna interruzione e con mai meno di 4 persone. 

Gli incontri sono andati avanti con costanza, si sentiva verso la fine il senso di appartenenza delle persone al cerchio, cosa a mio parere fondamentale per costruire la fiducia che sta alla base dell’aprirsi agli altri. Anche l’energia del gruppo è cresciuta. Ho avuto diversi feedback in cui mi è stato riportato quanto fosse stato utile incontrarsi e quanto queste pratiche così semplici, ma che arrivano all'essenziale della struttura dei rapporti, possano rinforzare o ri-accendere qualcosa che è già dentro alle persone, e che nel momento in cui queste se ne accorgono, trovano la via maestra per la comprensione di cos’è che unisce tutte le persone del mondo. Quando arrivano a questa piccola, ma immensa consapevolezza, le persone si aprono al cambiamento e alla condivisione.

ilmolinari

Ringraziamenti

Ringrazio sentitamente l'AIET Associazione Italiana di Evoluzione Transpersonale, che ha organizzato e che continua ad organizzare gruppi di condivisione (www.aiet.it)
Ringrazio davvero i fratelli incontrati in Brasile per quello che mi hanno insegnato, nella loro semplicità
Ringrazio tutta la gente meravigliosa che fa o che ha fatto parte del primo cerchio partito a Milano.

Per qualsiasi informazione riguardante il Cerchio di Condivisione di Milano cliccate qui.

http://www.ombelicodelmondo.net/cerchio-di-condivisione/